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5. GIUSEPPE E MARIA, UN UOMO E UNA DONNA

La Santa Famiglia arriva a Nazaret dopo averla scampata bella dalla violenza di Erode e dopo un tempo di esilio in un paese straniero. Le guerre e le migrazioni non accadono solo oggi. Ogni epoca ha i suoi drammi e le sue contraddizioni, e ogni famiglia, oggi come ieri, ne viene toccata. Anche Giuseppe e Maria hanno vissuto la loro paternità e maternità non senza disagi. Andiamo ancora una volta a Nazaret per contemplare in luce evangelica la verità dell’uomo e della donna secondo l’eterna volontà di Dio e le vicende dei tempi.


La rivoluzione sessuale nella narrazione moderna

Se il problema del tempo antico era la violenza dinastica, quello dei tempi moderni è la violenza ideologica. Dal dominio sulle cose e sulle persone si passa alla negazione delle cose e delle persone fatta passare come evidente. Dal mito dell’uguaglianza marxista e da quello della razza nazista si è oggi passati senza particolari soluzioni di continuità al mito della relazione pura e dell’individuo puro, privo di fondamenti naturali e soprannaturali, senza radici familiari e identità di genere, dimentico di ogni tradizione e ripiegato sui propri desideri. La ricaduta sui legami familiari è immediata e devastante, perché l’uomo è con ogni evidenza un essere familiare!


E infatti non è difficile riconoscere come le due massime tragedie del nostro tempo siano l’aborto e la morte del padre, il massacro fisico dei bambini e il massacro culturale dei padri. Alla mortificazione della destinazione materna della donna e della destinazione paterna dell’uomo si aggiunge oggi il tentativo di livellare, svalutare o addirittura cancellare la differenza naturale dei sessi: essere maschio o femmina non sarebbe più un dato oggettivo, ma una preferenza soggettiva. Tutto ciò in aperta contraddizione rispetto al buon senso di sempre e alle acquisizioni scientifiche di oggi: non c’è infatti alcun dubbio che ciò di cui un bambino ha bisogno è una famiglia, un padre e una madre chiaramente distinti nella loro posizione sessuale e chiaramente uniti nel loro amore coniugale.


Chi accompagna i percorsi educativi, psicologici e spirituali dei giovani lo vede bene: la confusione dei ruoli familiari e delle identità sessuali, ossia lo smarrimento di cosa sia propriamente un padre e una madre, e l’oscuramento di quale sia il dono e il compito specifici dell’uomo e della donna, compromette seriamente la maturazione affettiva dei ragazzi e delle ragazze, non senza disorientamento degli adulti stessi: così l’affetto viene a mancare di rispetto, il dialogo si capovolge in conflitto, il sentimento scade in risentimento, e l’intimità cede il passo all’estraneità. Ecco il frutto della rivoluzione sessuale: non una vera liberazione, ma l’incapacità dell’uomo e della donna di comprendere che cosa desidera e di cosa ha bisogno un uomo e una donna. Come ha osservato Elizabeth Badinter, operando un’attenta revisione della storia del femminismo, i mutamenti indotti dalla contestazione sessantottesca e dalla rivoluzione sessuale “hanno distrutto in poco tempo cinquemila anni di distinzione dei ruoli e degli universi”. In realtà, dice affettuosamente papa Francesco in una delle sue belle catechesi sulla famiglia, “per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più”.


L’educazione sessuale nel racconto biblico

Basta sostare un po’ a Nazaret per ritrovare la grammatica dei sessi necessaria al fraseggio dell’amore. La narrazione biblica, che presenta la storia della salvezza come un avvicendarsi di generazioni, è sempre attenta a valorizzare la differenza uomo-donna. Non ha neanche bisogno di darle grande risalto, perché è la cosa più naturale e più sacra del mondo: è la differenza che ci fa esistere e ci rende immagine e somiglianza di Dio!



Intanto uno dei dati più sorprendenti della storia sacra nei confronti delle narrazioni di altre religioni, è che Dio si rivela definitivamente nello spazio di una famiglia. In essa il Figlio di Dio si fa uomo come maschietto, non come un androgino, e Maria è presentata come la vergine sposa di Giuseppe, uomo della casa di Davide. Notevole è che Maria viene salutata come la “piena di grazia”, mentre Giuseppe è appellato “figlio di Davide”: l’una vive una gravidanza divina, l’altro assicura una discendenza storica. Il linguaggio è marcatamente differente: Giuseppe è prefigurato nelle parole profetiche rivolte da Natan al re Davide: “io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno (2Sam 7,11-13). È invece l’angelo Gabriele che parla a Maria in nome di Dio: “non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,30-31). Come si vede, Maria collabora con Dio nell’ordine della generazione, Giuseppe nell’ordine delle generazioni. Maria, come ogni donna in quanto tale, è tenerezza, mentre Giuseppe, come ogni uomo in quanto tale, offre stabilità. In fondo, Dio valorizza per la sua stessa rivelazione quel dato di realtà che si vive in famiglia: che la donna è essa stessa la casa dell’uomo, mentre l’uomo le costruisce una casa. L’orientamento materno della donna è in fin dei conti simbolo diretto della misericordia di Dio (in ebraico “misericordia” indica letteralmente le “viscere materne”!), mentre la destinazione paterna dell’uomo rappresenta meglio la giustizia di Dio. Misericordia e giustizia che poi in Dio sono una cosa sola, perché Dio esercita la sua giustizia esattamente in ottica e in termini di misericordia. Di fronte alla compenetrazione di giustizia e misericordia di Dio, si comprende per analogia la comune fecondità dell’uomo e della donna: in essa l’uomo non può essere fecondo senza la donna, né la donna senza l’uomo, né l’uomo senza donarsi tutto a lei, né la donna senza accogliere totalmente lui.


Come scriveva il Card. Ratzinger nella bella lettera sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa, la donna è chiamata a contenere, l’uomo a trasmettere. O, come diceva un fine teologo come L. Bouyer, “l’uomo rappresenta, la donna è”: l’uno rappresenta, perché solo il Padre che è nei cieli è la Vita e la sorgente della vita, mentre l’altra è in se stessa accoglienza di questa vita. La donna è in questo senso sempre titolare dei suoi rapporti, mentre l’uomo è spesso chiamato ad essere ministeriale, a rappresentare un altro: il dolore fisico della donna nel mistero della generazione e la relativa “marginalità” fisica dell’uomo non sono in questo senso cose di poco conto, ma sono oggetto di sentimenti specifici e di cure educative, di solito del tutto assenti nei percorsi formativi! E tuttavia si tratta di cose semplici, scritte e spiegate da Dio nella nostra stessa carne, e non solo nell’evidenza della forma ricettiva del corpo femminile e della forma attiva del corpo maschile, ma anche nella maggior propensione della donna alla relazione e dell’uomo all’azione, nell’inclinazione connettiva presente nel cervello dell’una e nell’inclinazione distintiva presente nel cervello dell’altro. Grazie a queste meravigliose caratteristiche di genere, l’uomo e la donna possono maturare insieme: la donna sensibilizza l’animo dell’uomo e l’uomo stabilizza l’anima della donna, ché altrimenti, come troppo spesso si vede, la donna rimarrà vittima della sua complessità e ricchezza interiore, e l’uomo resterà disperso nelle cose e poco attento alle persone. Per questo il papa dice che l’impresa artigianale della famiglia è anzitutto questa: “la missione forse più grande di un uomo e una donna nell’amore è questa: rendersi a vicenda più uomo e più donna. Far crescere è aiutare l’altro a modellarsi nella sua propria identità” (AL 221).


Roberto Carelli SDB

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