MARIA REGINA DELLA PACE
La parola «pace» appare in 324 versetti della Scrittura. Desiderata, invocata, promessa, augurata, la pace di cui parla la Scrittura, shalom in ebraico, è molto più che l’assenza di conflitto: è pienezza di vita e di comunione con Dio, con il prossimo e con la creazione intera. Per questo i credenti – nelle lettere apostoliche – si salutano augurandosi la pace, che secondo i Vangeli è anche il primo dono del Risorto, che il primo giorno dopo il Sabato appare vivo ai suoi amici impauriti e li incoraggia ad uscire e condividere con il mondo questo stesso dono (Lc 24,36). Essere operatori di pace, secondo Gesù, è un tratto distintivo dei rinati dal battesimo, coloro che dimostrano con le opere la propria identità di figli e figlie di Dio (Mt 5,9).
Se la pace è pienezza di vita, la guerra, il conflitto è incombenza di morte. Il conflitto distrugge, non soltanto l’amicizia tra i singoli, le famiglie ed i popoli, distrugge anche la bellezza e l’armonia tra gli esseri umani e le altre creature. Una città, un villaggio bombardato, non è derubato soltanto delle vite umane che cadono sotto la violenza del fuoco: anche la terra, l’aria, l’acqua vengono ferite, inquinate, gli animali si allontanano o muoiono, in un moltiplicarsi di distruzione e di dolore. I conflitti armati nel mondo, in questo momento, sono più di cinquanta. Ad essi sono da aggiungere le situazioni di precarietà e di tensione politica e sociale, vissute in moltissimi contesti nel mondo dove agli esseri umani e agli altri viventi è impedito uno sviluppo pieno e pacifico delle proprie possibilità.
L’impegno per l’ecologia integrale non può non prendere in considerazione il dramma dell’espansione continua di conflitti, del mercato legale e illegale delle armi, delle condizioni di abuso, oppressione, miseria e sfruttamento in cui si trovano attualmente gli esseri umani in tante parti del nostro mondo. La pace, come pienezza di vita e di armonia, è l’aspirazione più alta a cui il processo della conversione ecologica può e deve aspirare. E la pace come gestione matura dei conflitti, nel rifiuto della violenza e nella ricerca di mediazione, conciliazione, riparazione, è una condizione fondamentale perché possano fiorire nelle nostre città, così come nelle provincie e nelle zone rurali, relazioni giuste tra gli esseri umani e con la natura. Che la pace venga fatta prevalere sul conflitto, d’altra parte, è uno dei quattro criteri di discernimento in vista dell’azione che papa Francesco ha consegnato a tutti gli uomini e donne di buona volontà, nell’enciclica Evangelii Gaudium.
In questo cammino, difficile ma necessario, Maria Regina della Pace può aiutarci con la sua intercessione potente, ma non solo: con l’esempio della sua vita Lei può essere per noi un modello e una guida nelle nostre scelte di ogni giorno. Si inizia a costruire la pace, infatti, nelle relazioni quotidiane. Si inizia a costruire la pace educando i bambini e i giovani a vivere in pace con i coetanei, con i vicini e i familiari.
L’invocazione a Maria come Regina della Pace è stata aggiunta alle litanie lauretane da Benedetto XV nel 1917, in piena prima guerra mondiale. Si ricorre a Maria, Regina della Pace, prima di tutto per la relazione che la lega al Figlio, il Principe della Pace. Teotecno di Livia, nel VII secolo, affermava che la Scrittura «ha chiamato pace anche la Madre di Dio, quando disse: “Giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra” (Sal 84,11). La pace è Maria. La giustizia è Cristo, e la fedeltà è Cristo». Gli autori cristiani, soprattutto nel Medioevo, hanno riconosciuto nell’Amata del Cantico dei Cantici alcune caratteristiche di Maria. L’Amata, ad esempio, è chiamata Sulamita (Ct 7,1), ovvero colei che con la sua presenza e il suo amore porta la pace. Allo stesso modo Maria, amata di predilezione dal Padre, docile allo Spirito e vicinissima al Figlio Gesù, è stata davvero operatrice di pace nella sua vita quotidiana a Nazaret e a Gerusalemme, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, e continua ancora oggi ad intercedere per noi il dono della pace dal Cielo.
Molto spesso ci immaginiamo la vita quotidiana di Maria, Giuseppe e Gesù come un piccolo paradiso sulla terra, dove tutti vivono in armonia ed assenza di conflitti. È molto probabile, in realtà, che la vita quotidiana a Nazaret fosse piuttosto complessa dal punto di vista relazionale e che chiedesse a Maria un continuo impegno di tessere e ritessere le relazioni, superando incomprensioni, pregiudizi e rigidità. Secondo le abitudini dell’epoca, la giovane sposa andava ad abitare presso la famiglia del marito, dove condivideva la vita quotidiana con i cognati, le cognate e tanti nipotini. Possiamo immaginare il chiasso, i litigi, le piccole invidie e gelosie, che non potevano mancare nella vita quotidiana di una famiglia allargata. I vangeli, inoltre, tra le righe, ci parlano della fatica degli abitanti di Nazaret nell’accogliere la persona e il messaggio di Gesù. Si trattava di un piccolo villaggio, di circa 300 abitanti, dove tutti si conoscevano per filo e per segno. Questa situazione non deve essere stata per nulla facile per Maria. Il suo tirocinio come operatrice di pace, ha avuto certamente inizio da qui.
Il libro degli Atti degli Apostoli, inoltre, ci offre uno spaccato della prima comunità, all’interno della quale Maria è presente e la sua presenza è particolarmente significativa. Lo sappiamo perché è l’unica donna del gruppo ad essere chiamata per nome, come i dodici apostoli (Atti 1,14). L’autore indica nella «concordia» un tratto caratteristico di questa prima comunità e siamo talmente abituati a sentirlo, da non renderci conto di come questa concordia deve essere stata il frutto di una paziente opera di mediazione e di riconciliazione. Prima della Pasqua, infatti, Gesù aveva profetizzato la dispersione dei discepoli (Mt 26,31) e, di fatto, in seguito al suo arresto, alcuni scappano, altri rinnegano. Alcuni, invece, insieme alle donne e a Maria, trovano il coraggio restare, fino alla fine. La prima comunità, dunque, era di fatto divisa in due. E la presenza di Maria avrebbe potuto costituire per coloro che avevano tradito una specie di continuo rimprovero. Se non fu così, lo dobbiamo anche alla capacità di Maria di perdonare i traditori del Figlio e di ri-accoglierli, tutti, come figli suoi.
In un mondo ferito, come il nostro, la pace può fiorire soltanto dove la misericordia è seminata con abbondanza. Maria conosce l’arte e il prezzo del perdono e di una accoglienza larga, capace di includere tutti. Non ha vissuto né in una famiglia, né in una comunità ideale. Ha dovuto ricominciare ogni giorno a perdonare, a dialogare, a tessere e ritessere le relazioni. Affidiamoci a lei e chiediamo il dono di essere operatori di pace nei nostri ambienti, nelle Case, nelle Parrocchie, nei quartieri in cui viviamo. La pace vissuta tra noi sarà la testimonianza più bella dell’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo che abbraccia e che dà vita a tutte le creature.
Linda Pocher FMA
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