SALVE REGINA. UNA SUPPLICA PIENA DI DOLCE NOSTALGIA.
- Adma Don Bosco
- 5 giorni fa
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Il tono generale della Salve Regina è ispirato a grande dolcezza, percorsa però da una sottile nostalgia. Dolcezza perché ci si rivolge, con semplicità di figli, a Colei che è riconosciuta come madre misericordiosa, compassionevole, piena di premure e di attenzioni verso i propri figli, impegnati ancora in un cammino esigente e non esente da rischi. Proprio per questo la Salve Regina è attraversata anche da un filo di nostalgia: nostalgia di Cielo, di Dio, di contemplare ormai al sicuro quella Madre di cui ora riconosciamo per fede l’intercessione. La Salve Regina è una preghiera che, pur senza nominarlo, ci parla indirettamente di Paradiso. Proprio per questo è così dolce. Si tratta essenzialmente di una supplica, introdotta da un articolato saluto, quasi una lode, che viene ripresa poi alla conclusione. Nel mezzo, si susseguono due strofe: l’una presenta i soggetti di questa supplica, la condizione di coloro che ricorrono alla dolce Madre celeste; l’altra presenta l’oggetto della supplica, ossia le richieste avanzate alla Madre. Soffermiamoci soltanto su alcuni spunti.
Una regina speciale.

La preghiera si apre con un saluto educato. Quante occasioni lungo la giornata di salutare la Madonna, di ravvivare in modo semplice ma sincero il nostro amore per Lei! Per conservare la nostra fede e accrescere il nostro amore a Maria, abbiamo bisogno di sostenere e manifestare questo amore attraverso gesti piccoli, ma significativi. Maria viene salutata anzitutto come Regina. L’insistenza sulla regalità di Maria – e, correlativamente, sul rapporto di vassallaggio che i suoi fedeli hanno con Lei – risente della società feudale in cui la preghiera fu composta (probabilmente sul finire dell’XI secolo). Maria è però una Regina speciale, perché è tutta preoccupata per la sorte dei suoi figli, e spende il privilegio della sua regalità intercedendo a beneficio dei futuri sudditi di questo regno. È una regina teneramente amata, di fronte alla quale non si ha timore di spalancare il proprio cuore, confidandole le proprie preoccupazioni. Ben si addice a Maria il titolo di regina. È regina per la nobiltà della sua anima e per l’eccellenza dei doni ricevuti; è regina «perché associata in modo unico al suo Figlio, sia nel cammino terreno, sia nella gloria del Cielo» (Benedetto XVI). Venerarla come Regina non è un’usanza anacronistica; significa piuttosto riconoscere la sua potente intercessione e ricorrere ad essa. Solo in Cielo ci accorgeremo delle grazie che la Madonna ci ha ottenuto; saremo commossi e svergognati al pensiero di tanta dolcezza, sovente da noi non corrisposta. Di quante grazie si privano coloro che non ricorrono all’aiuto di Maria! Credo che in Cielo proveremo rammarico per non aver approfittato dell’intercessione di Maria; constateremo la potenza di questa mediazione, la sua infallibile efficacia, e ci rimprovereremo della nostra incredulità, che ci ha fatto trascurare quell’ausilio eccezionale predisposto per noi. Tra i molteplici aspetti dell’intercessione mariana, la Madre del Signore supplisce e rimedia alla nostra preghiera. Maria arricchisce il mio amore carente per il Signore, attingendo dal suo stesso amore per Lui, e in tal modo rende gradita a Dio la mia preghiera, perché “mi presta la sua”! Maria attinge dalla sua preghiera di puro amore, e la presenta all’Altissimo a nome mio: una preghiera così non potrà che risultare sommamente gradita a Dio!
Madre piena di misericordia.
Ed eccoci al secondo appellativo chiave: Madre di misericordia. La preghiera insiste sulla maternità di Maria, anzi, sulla duplice maternità di Maria: è Madre di Gesù, e al tempo stesso Madre nostra. Madre di Gesù nell’ordine della natura umana, madre nostra nell’ordine della grazia. Esattamente per questo Maria può essere anche avvocata, perché perfettamente accreditata da entrambe le parti, con un innegabile vantaggio per noi! Colei che è Madre del Verbo incarnato e che condivide con Lui la dignità regale, è al tempo stesso Madre nostra, solidale con noi, e investe per noi le sue credenziali regali, intercedendo al cospetto del Re. Forti di questa prestigiosa mediazione, si fanno avanti coloro che la invocano, noi «esuli figli di Eva». Queste parole esprimono tutto il paradosso e la dolorosa tensione della condizione umana, che si sperimenta divisa tra un desiderio di purezza, di Cielo, di Dio, e la pesantezza di tanti compromessi e di aspirazioni terrene. È curioso che venga menzionata Eva, proprio quando ci stiamo rivolgendo alla nuova Eva (come i Padri amano chiamare Maria). Parliamo di Eva, mentre ricorriamo a Colei che ha mutato la sorte di Eva (così cantiamo nell’Ave maris stella). Potremmo dire così: se vi è una duplice maternità di Maria, parimenti constatiamo una duplice filialità nostra: siamo figli di Eva (dunque soggetti alle conseguenze della colpa originale, tra cui la sofferenza e la morte), ma anche figli di Maria. Ci fa bene ricordarcelo, specialmente quando, scoraggiati da ripetute cadute, potremmo disperare di cattive abitudini o peccati ricorrenti; Maria resta generosa mediatrice di tutte le grazie! La descrizione della condizione umana si completa col riferimento a «questa valle di lacrime», per designare la condizione attuale del mondo. È forse il passaggio che il lettore contemporaneo avverte più lontano dalla sua sensibilità. In effetti, l’espressione risente dell’epoca travagliata in cui la preghiera fu composta, in cui le sofferenze e i disagi terreni dovevano apparire quasi insopportabili. La condizione attuale di buona parte dell’umanità è per fortuna assai diversa, quasi contraria: generalmente siamo ben installati in un mondo abbastanza confortevole, da cui ci dispiace terribilmente separaci. Eppure, tutto questo non soddisfa ancora il cuore umano. L’uomo non è fatto per le cose di questo mondo, che non potranno mai saziarlo, per quanto abbondanti. Lo attraversiamo con benevolenza e simpatia, questo mondo, perché siamo in cammino verso l’altro mondo, meta del nostro pellegrinaggio. Con bel garbo, la Salve Regina restituisce profondità eterna alla storia della nostra vita. Ci ricorda che siamo in cammino verso una meta che sta oltre le seccature quotidiane, e ce ne tiene vivo il gusto. Ci orienta al Paradiso, la Salve Regina. E del Paradiso ci dischiude la via sicura, presidiata dalla Madre di misericordia.
Una supplica discreta.

Ed eccoci al cuore della Salve Regina, in cui si avanza una duplice supplica: l’una che riguarda il tempo presente («Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi»), l’altra la nostra vita futura («Mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno»). Lì in mezzo sta la nostra morte, non nominata direttamente, ma a cui discretamente si allude. Nella prima supplica chiediamo a Maria di posare i suoi occhi su di noi, quegli occhi che ispirano conforto, perché pieni di misericordia. Nella seconda le chiediamo di assisterci nel momento della nostra morte, venendo Lei stessa a prenderci e introducendoci a Gesù, mostrandoci Lei quel Volto che sarà l’oggetto della nostra contemplazione per l’eternità. Quale privilegio vivere sotto lo sguardo amabile di Maria! Sapere che le nostre giornate sono custodite da questi occhi premurosi. Lei, che discretamente a Cana aveva preso le parti di due giovani un po’ sprovveduti, per salvare la loro festa di nozze e, con essa, la loro buona reputazione, non farà molto di più per noi, quando vedrà che possiamo incorrere in qualche serio pericolo, soprattutto per la nostra anima o per la fedeltà alla nostra vocazione? E così termina la Salve Regina, con lo sguardo e il desiderio rivolti al Cielo: una morte così, oso dire, non spaventa, ha un sapore quasi dolce. Chiudere gli occhi a questo mondo, assistiti dalla più premurosa delle madri, è davvero una grazia incomparabile. «Mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno».
Don Marco Panero, SDB
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