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ATTO DI SPERANZA - Guardare alla meta della vita cristiana

Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.

«Mio Dio, spero…»

È una virtù particolare, la speranza. Prima di essere una virtù teologale, è anzitutto una passione dell’anima, che alimenta l’entusiasmo di vivere, l’intraprendenza, lo slancio verso il futuro.

Quante speranze si rincorrono in una vita umana! Speranze nobili di vasto respiro oppure piccole attese immediate, speranze coltivate per sé stessi o per altri che ci sono cari, speranze giovanili un po’ sconsiderate o forse già ridimensionate dai colpi della vita…

A ben guardare, però, ciò che si spera è sempre: un bene (un male lo si teme, o al massimo si spera che non ci capiti), futuro e generalmente non scontato (se già ne godessimo o fosse assicurato, non ci sarebbe più nulla da sperare), eppure possibile (nessuno spera ciò che sa essere irrealizzabile).

La speranza di un cristiano si innesta in questo reticolato di speranze umane e le ordina perché non finiscano per distruggersi a vicenda. Ma la speranza cristiana non è un pio auspicio, aspettando di vedere come andrà a finire; e non è neppure questione di temperamento allegro o di attitudine a pensare in positivo.

La speranza di un cristiano non è «qualcosa», bensì «Qualcuno»: è Dio stesso da godere come beatitudine eterna, è la partecipazione al suo regno nella comunione dei Santi. Pertanto saranno oggetto di speranza anche le grazie necessarie per essere degni di quella beatitudine a cui Dio ci chiama.

Davvero paradossale è la speranza di un cristiano, perché sfida e vince il nemico innominabile, la morte. E lo fa in nome di un Morto che è risorto! La sorgente della vera speranza non è l’entusiasmo, destinato a passare col tempo, è la Pasqua del Signore! La speranza di un cristiano non guarda semplicemente in avanti, verso il futuro, nell’auspicio che sia meglio del passato. La speranza di un cristiano è fissa verso l’alto, verso la destinazione eterna, verso Dio.

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«Per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo»

Da dove proviene la sicurezza della speranza cristiana? È ancorata alla parola del Signore e fortificata dalla sua risurrezione. Non a caso, nell’iconografia cristiana antica la speranza era rappresentata col simbolo dell’àncora, in evidente riferimento a Eb 6,18-19. L’àncora è una stilizzazione della croce, ma prima di tutto è segno di stabilità e sicurezza, di una verità affidabile a cui ancorare la propria vita.

La speranza cristiana è affidabile perché non è il prodotto di saggezza umana, né un ideale utopico a cui piegare la realtà. La speranza di un cristiano si appoggia tutta sulle promesse divine di cui è intessuta la Sacra Scrittura: dal primo implicito annuncio di salvezza («Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno», Gn 3,15), fino alla promessa della venuta del Signore alla fine dei tempi («Sì, vengo presto! Amen. Vieni, Signore Gesù», Ap 22,20). Lì in mezzo è un continuo rilancio di promesse divine che riguardano dapprima i patriarchi e la discendenza loro promessa (Gn 15; 17,4-8; 22,16-18; 28,13-15), poi il popolo d’Israele, che Dio promette solennemente di introdurre nella terra promessa (Es 3,7-9; 6,1-8; 19,3-6; Dt 8,6-10; 31,1-8); più tardi, ancora lo stesso popolo esiliato a causa della sua infedeltà, ma non escluso dalla benedizione (Is 40,3-11; 50,8-23; Ger 24,5-7; 30–31; Ez 37,21-28). A poco a poco, tra le pieghe dell’Antico Testamento prende corpo l’annuncio di una speranza universale, destinata a tutti gli uomini (Is 2,1-5; 19,18-24; 56,3-8; Mi 5,6-7; Zc 8,20-23). La storia sacra è una grande opera di educazione alla speranza, attraverso cui Dio purifica, eleva e dilata le speranze umane, preparandole ad accogliere le promesse di Gesù.


Le promesse di Dio menzionante nell’Atto di speranza trovano compimento in quelle di Gesù: «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,18); «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).


Una presenza, quella del Signore risorto, che non risparmia prove anche gravose, ma la cui vittoria è già assicurata: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). È la speranza di restare sempre con Lui, in vita e in morte: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria» (Gv 17,24). Come cambia la vita, quando si riconosce che è il Signore a volerci là dov’è Lui: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. […] Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,1-3); «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54).

Tutte queste promesse convergono in quella della vita eterna, che significativamente sostanzia anche l’Atto di speranza e ne costituisce il centro indiscusso. A loro volta, le promesse divine sono confermate dalla risurrezione di Gesù. Al punto che, ragiona san Paolo, «se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1Cor 15,14).

Che cosa sperare?

Dopo aver presentato le ragioni della speranza, l’Atto di speranza enuncia finalmente ciò in cui consiste: anzitutto «la vita eterna» e, dunque, «le grazie necessarie per meritarla con le buone opere». L’indicazione combacia con quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna a proposito della speranza: «È la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo» (n. 1817).

La speranza risponde così alla nostra aspirazione alla felicità, ma al contempo la purifica e la eleva. Poiché tiene fissa la meta, il punto d’arrivo di tutto, la speranza sostiene anche l’impegno morale del cristiano, mostra il senso delle rinunce più difficili, della perseveranza anche quando sembra fatica sprecata.

Forse ancor più della fede, la speranza è una virtù che deborda dalla vita terrena e anticipa la destinazione ultima della vita, ce la fa pregustare con la certezza di chi sa di potervi giungere con l’aiuto di Dio; ce lo mette davanti agli occhi, questo santo desiderio di Cielo che il mondo silenzia. La speranza è infatti la virtù dei viatori, di coloro cioè che non godono ancora di quanto attendono, ma pur non cessano di avanzare, accontentandosi ogni tanto di qualche consolazione, bene attenti però a non scambiare le soste col traguardo finale.

Una speranza del genere dilata il cuore e gonfia gli occhi di commozione. Chi l’ha sperimentata, almeno una volta, ne coglie istintivamente la verità. Speranza nei beni eterni, speranza che il bene nascosto sarà ricompensato e l’amore finalmente corrisposto.

Speranza di contemplare un giorno il volto benevolo del Signore Gesù, del cui amore sono vissuto qui in terra, nutrendomi del suo Corpo e del suo Sangue.

Speranza di posare lo sguardo sulla bellezza verginale di Maria, per comprendere allora pienamente il senso della castità cristiana.

Speranza di stare un giorno in compagnia dei santi, che già ora vogliamo imparare a frequentare, intrattenendoci con loro come tra amici.

Speranza, mista a trepidazione, che il Signore mi accoglierà in quel Regno che ho cercato di edificare, così come potevo, adempiendo nella Chiesa la mia piccola missione.

«Signore, che io possa goderti in eterno»

Come le altre preghiere degli Atti, anche l’Atto di speranza si chiude con una supplica rivolta direttamente a Dio, che sigilla quel desiderio che ha percorso sottotraccia tutta la preghiera: «Signore, che io possa goderti in eterno».

Questa supplica è in verità una preghiera di riuscire a perseverare sino alla fine nella via di Dio. Constatiamo la nostra sincera aspirazione al Cielo, ma valutiamo realisticamente anche la nostra instabilità, la drammatica possibilità di disfare oggi quel che abbiamo costruito con fatica per anni. Ecco perché il dono della perseveranza diventa assolutamente necessario, come ricorda bene la Lettera agli Ebrei: «Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso» (10,36).


Sarà impagabile la gioia di essere stati fedeli fino alla fine, per grazia di Dio! Arrivare alla fine dei nostri giorni terreni, e poter dire al Signore, nonostante tutto: «Eccomi qui, Padre, sono arrivato». Allora la speranza si scioglierà finalmente nel possesso di Colui che abbiamo lungamente atteso.

Don Marco Panero, SDB

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