I COME INTIMITÀ
- Adma Don Bosco
- 16 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Dopo la tragedia del sesso senza amore, fermiamoci a riflettere sul dramma del sesso prima dell’amore. È noto che la morale cristiana dice no ai rapporti e alla convivenza prematrimoniale. Ma quali sono i motivi che sostengono una posizione ormai ampiamente disattesa e incompresa, percepita dai più come inattendibile e incomprensibile?
Le domande dei giovani sono note: “se ci amiamo, perché no?”, e “se il matrimonio è cosa seria, perché non garantirne la riuscita con l’esperienza della convivenza?”. Spesso, tuttavia, non si tratta tanto di domande, quanto di affermazioni: il retropensiero è l’ovvietà dell’intimità e l’ottusità della morale cattolica, debitrice di una visione arcaica e irragionevole della sessualità, incapace di stare al passo coi tempi e di parlare d’amore secondo il cuore di Dio.
Le cose non sono però così semplici. Che il vero amore sia un punto di partenza pacifico e non il frutto di un cammino di maturazione bisognoso di serie verifiche è già molto sospetto. Ma che l’intimità sia equiparata alla spontaneità è davvero un modo di vedere ingenuo e una convinzione erronea, lontana dalla realtà degli affetti umani.
Ora, noi siamo convinti che per mostrare come i “no” della legge siano a favore del “sì” dell’amore, il vero tema di un’educazione sentimentale è quello dell’intimità, di cosa sia e cosa esiga, di come realizzarla e come alimentarla.
Intimità minacciata
Ad ostacolare l’esperienza di una vera intimità – che non è certo la congiunzione dei corpi senza l’unione delle anime! – ci sono anzitutto ragioni culturali. La svalutazione del matrimonio e della sua capacità di tenere insieme l’intimità amorosa e l’apertura generativa produce il paradosso per cui alla privatizzazione dell’intimità corrisponde l’aumento dell’intervento pubblico: diceva Guardini che “la soggettivizzazione del matrimonio e la sua statalizzazione sono due forme della medesima circostanza, che non si è più capaci di vedere che cosa significhi il matrimonio”.

In effetti, l’intimità viene pubblicizzata e spettacolarizzata in ogni modo, e la sfera pubblica invade in mille modi la vita intima delle persone rimodellandone le convinzioni e i costumi. Si parla troppo di sesso, che è sempre sotto i riflettori di registi e specialisti, mentre l’intimità si promuove più col silenzio che con la parola, preservandone il mistero più che cercando di svelarlo. Diceva ironicamente Bauman: “lo sguardo degli scienziati è distaccato: non devono esserci segreti! Risultato? Oggi tutti sono al corrente e nessuno ha la più pallida idea”.
In questo stato di cose, l’intimità è minacciata dai due rischi dell’intimismo e del conformismo: nel primo caso l’intimità si isola dalla società e resta senza responsabilità, nel secondo caso si allinea al costume sociale e perde la sua verità. Succede allora che l’arbitrio degli affetti conduce inesorabilmente al controllo sociale, ma questo mortifica la libertà dei cuori. L’unica è recuperare la figura di valore del matrimonio anche solo come realtà creaturale, in quanto coordina ed onora ad un tempo la sfera personale e l’ordinamento pubblico della vita, evitando lo sprofondamento dell’intimità nell’arbitrio dell’intimismo o nella dittatura del conformismo. Infatti, come scrive Bauman richiamando gli studi di Lévi-Strauss, mentre l’intimismo produce il conformismo, la vera intimità, garantita dall’istituto del matrimonio, favorisce ’autentica socialità: “l’incontro dei sessi è il terreno su cui natura e cultura vennero a contatto: esso è il punto di partenza, l’origine di ogni forma di cultura”.
Quale intimità?
Al di là degli ostacoli culturali, la realizzazione di una felice intimità d’amore richiede un esigente itinerario di maturazione. Se non altro perché l’intimità, mentre attrae, fa paura: essere intimi significa lasciar cadere le barriere e dunque essere in qualche modo in balìa dell’altro.
Occorre dunque aver presente che la prima intimità è con se stessi, e non è cosa di poco conto! Significa avere una conoscenza realistica di sé, raggiungere una serena accettazione dei propri doni e limiti, liberare la propria storia da blocchi e paralisi mediante le risorse della gratitudine del perdono, organizzare e unificare il patrimonio delle conoscenze, saper riconoscere, interpretare e comunicare il mondo dei sentimenti. Non facile in un tempo come il nostro, nel quale l’eccesso di informazioni e di stimoli genera tante forme di “analfabetismo emotivo”.
Don Roberto Carelli sdb
(Fonte: Roberto Carelli – Alfabeto Famigliare)
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