N come NONNI
- Adma Don Bosco
- 16 nov
- Tempo di lettura: 5 min
Con un’analisi molto lucida, Marina Terragni, a cui è affidata la rubrica “Io Donna” del Corriere della Sera, ha denunciato una delle maggiori contraddizioni di oggi: “possibile che la maternità sia un disturbo a 25 anni e un diritto a 50”? Certo che se la chiusura alla vita fa coppia con la pretesa della vita, non meraviglia che fra le dimensioni della cosiddetta “emergenza educativa” vi sia il doppio fenomeno della sovversione e cancellazione delle età della vita: a parte gli estremi dell’aborto e dell’eutanasia, minacce radicali alla vita nascente e al suo tramonto, ecco allora piccoli adulti e adulti infantili, giovani indecisi sulle scelte di vita e adulti timorosi di invecchiare, difficoltà ad avere radici e difficoltà a farsi ereditare. Il no alla generazione diventa il no alle generazioni!
Il silenzio della vecchiaia.
Il teologo Armando Matteo ha di recente offerto un’interessante riflessione sul fenomeno emergente della longevità e le questioni sociali e pastorali che esso solleva. Si pensi che dagli anni ’90 ad oggi l’aspettativa di vita è salita di ben 6 anni, da 65 a 71. Due i problemi principali: il primo è quello di una generazione adulta che né promuove i giovani né dà spazio agli anziani, e il secondo è che non ci sono mai stati tanti anziani, eppure mai come oggi la condizione anziana è disprezzata: l’ideale dell’adulto è rimanere adolescente, e il suo unico interesse è fermare l’orologio biologico. Da qui l’imbarazzo: “chi vive a lungo deve fare di tutto per nasconderlo; si può essere vecchi soltanto a condizione che si riesca a mostrare di non esserlo. Un incredibile cortocircuito, questo: si cerca ad ogni costo di vivere più a lungo, per poi essere costretti a non doverlo dichiarare”.
Ritrovare le radici.
È forse per questo che papa Francesco coglie spesso l’occasione per parlare dei nonni, per richiamare l’affetto e il rispetto che è loro dovuto e per denunciare la piaga di troppi anziani, trascurati, maltrattati o abbandonati. I nonni sono importanti perché sono un anello della vita: ci ricordano che la storia va avanti di generazione in generazione, che la nostra vita ha delle radici di cui essere grati, che il presente viene da un passato di cui occorre tener viva la memoria, che non esistiamo come individui ma come figli, e per questo abbiamo genitori e progenitori. Una famiglia che dimentica i nonni perde memoria e profondità, si impoverisce e si infragilisce. E una cultura che dimentica le tradizioni perde la spinta verso il futuro e si impantana in un presente senza senso e orientamento: per questo, dice il papa, “un popolo che non custodisce e non rispetta i nonni non ha futuro, perché non ha memoria”. Colpisce davvero la forza con cui papa Francesco, nei suoi interventi sull’educazione parla dell’importanza delle radici di un popolo come energia di futuro: “primo aspetto dell’educazione è la memoria delle proprie radici. Un popolo che non ha memoria delle proprie radici perde uno dei pilastri più importanti della sua identità di popolo… Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore, e i rami si piegano verso terra e cadono… Se tagliamo i nostri legami con il passato, lo faremo anche con il futuro… Qualsiasi progresso slegato dalla memoria delle origini che ci permettono di esistere è finzione e suicidio… Non ci può essere educazione nello sradicamento”.
Vecchiaia, tempo di grazia.
La vecchiaia può essere un tempo di grazia, ma non lo è automaticamente. Sì, perché da un lato è il tempo della debolezza, della malattia e del venir meno della vita terrena, e dall’altro è il tempo della maturità, della saggezza, della testimonianza di ciò che conta per la vita eterna. La vecchiaia è tempo di grazia anzitutto se si è coscienti del compito di trasmettere il patrimonio della propria esperienza, del proprio popolo e della propria fede: “ai nonni – dice il papa – è affidato un compito grande: trasmettere l’esperienza della vita, la storia di una famiglia, di una comunità, di un popolo; condividere con semplicità una saggezza, e la stessa fede: l’eredità più preziosa”!

Ed è tempo di grazia se viene vissuta nella preghiera e nella carità, precisamente nell’intercessione e nella comprensione: “la vecchiaia, in modo particolare, è un tempo di grazia, nel quale il Signore ci rinnova la sua chiamata: ci chiama a custodire e trasmettere la fede, ci chiama a pregare, specialmente a intercedere; ci chiama ad essere vicini a chi ha bisogno; gli anziani, i nonni hanno una capacità di capire le situazioni più difficili: una grande capacità! E quando pregano per queste situazioni, la loro preghiera è forte, è potente”! La vecchiaia è tempo di grazia se sa offrire quella “vista lunga” che né i figli né tantomeno i nipoti possono avere, o per inesperienza, o per il carico di occupazioni e preoccupazioni del presente, o perché non hanno frequentato abbastanza la misteriosa scuola del dolore, senza la quale non si entra nella sapienza della croce e difficilmente si diventa saggi: di fatto, nel presente stato di cose, segnato dall’orgoglio e dal peccato, dal male e dall’ingiustizia, la Scrittura dice che “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 48,13).
Gli anziani siano assennati.
Può accadere che la vecchiaia, invece che essere tempo di grazia, sia vissuta solo come una disgrazia! Ora, perché il tempo della saggezza non diventi stoltezza ci vuole molta vigilanza: si corre facilmente il rischio di vivere di rimpianti per il passato o di rassegnazione per i propri difetti, di ansia per la salute o rigidezza nelle abitudini, di idealizzazione dei tempi andati e svalutazione del tempo presente, di attaccamento ai beni terreni e di pretese nei confronti dei figli; la prospettiva della vita eterna non sfiora, se non in termini di paura della morte. Per questo la Parola di Dio si rivolge agli anziani per invitarli a uno stile di vita che sia davvero edificante per i figli e i nipoti: “gli anziani siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti” (Tt 2,2-3). Più di tutto, a fronte di tante situazioni in cui sono proprio i genitori dei giovani sposi a dar loro consigli mondani, lontani dalla fede, attenti soltanto alla tutela dei soldi e della salute, gli anziani devono comprendere che l’eredità più grande da consegnare ai figli è la vita di fede e la testimonianza della verità. La memoria delle radici è tanto più convincente quanto più le radici sono profonde, quanto più affondano nel mistero di Dio. Citando il grande poeta Clemente Rebora, il quale dice che “il tronco s'inabissa ov’è più vero”, papa Francesco, rivolgendosi ai nonni, ha commentato semplicemente così: “le radici si alimentano della verità”.
Don Roberto Carelli sdb
(fonte: Roberto Carelli – Alfabeto Famigliare)



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