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LA NOSTRA FEDE, LA FEDE DEI NOSTRI FIGLI

Il tema della fede circola quest’anno in tutta la Famiglia Salesiana. La vita cristiana è vita teologale, fatta di fede, speranza e carità, fatta di amore che crede e che spera, di fede che spera e ama, di speranza che crede ed opera. Per questo il triennio formativo 2024-2026, che dapprima ha messo al centro la carità (Attesi dal suo amore), ha poi messo a fuoco la speranza (Pellegrini di speranza), ed ora mette a tema la fede (Saldi nella fede). Nella Consulta Mondiale della Famiglia Salesiana radunata all’inizio del mese di giugno 2025 si è fatto giustamente presente che se la carità è sostenuta dalla speranza, la speranza è fondata sulla fede.


Anticipando il dono della Strenna, il Rettor Maggiore ha introdotto il tema della fede in maniera programmatica. A partire da Don Bosco, uomo di grandi opere mosse dalla fede, si tratta quest’anno di riflettere, pregare e fare formazione sul tema della fede nei suoi legami con la missione. Significativo in questo senso il titolo della Strenna, che per don Attard è un “vero e proprio manifesto spirituale e pastorale”: “Fate quello che vi dirà. Credenti, liberi per servire”. Nella luce di Maria, la fede intrattiene legami con la libertà e con l’amore, e non riguarda solo la crescita personale, ma anche la vita comunitaria e l’opera pastorale. Ecco il tracciato formativo: dalla fede nasce la libertà, dalla libertà scaturisce il servizio.


Nel sussidio formativo dell’anno, don Sala spiega che “Il focus specifico di questo anno è il legame forte e decisivo tra la fede che ci rimette in piedi e la missione che ci invita a prendere il largo… Il filo rosso è la convinzione che la fede salva, rialza e invia… Se è viva, la fede si fa carità concreta verso tutti, azione appassionata verso i più bisognosi, attenzione privilegiata ai più piccoli e ai più poveri”.


Nell’Adma, la proposta formativa intende offrire spunti spirituali e spunti educativi.  L’intenzione è chiara: crescere nella fede, educare la fede. Da qui il titolo: “La nostra fede, la fede dei figli”. Le catechesi e i ritiri mensili avranno quindi cura da una parte di consolidare la fede degli adulti, dall’altra di accompagnare la fede dei giovani. Il tutto nella consapevolezza di quanto la fede sia bella e di quanto sia minacciata, di quanta fecondità sappia da sempre sprigionare e con quanta facilità venga oggi abbandonata.

I principali materiali di riferimento che offriamo alle necessità dei gruppi, alla creatività dei predicatori, e alla varietà dei contesti, saranno il Vangelo di Luca, l’Enciclica Lumen Fidei e la Strenna 2026. Ed ecco una possibile scaletta di temi da affrontare, di mese in mese, in 8 tappe:

 

  1. “State saldi nella fede” (1Cor 16,13): la fede e l’esistenza

  2. Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38): la fede e l’indifferenza

  3. 3. “Il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2,4): la fede e l’indipendenza

  4. “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45): la fede e l’obbedienza

  5. “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23): la fede e la provvidenza

  6. “Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice” (Sal 115,10): la fede e la sofferenza

  7. “La fede opera per mezzo della carità” (Gal 5,6): la fede e la benevolenza

  8. “Chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,38): la fede e l’abbondanza.


1. “State saldi nella fede” (1Cor 16,13): la fede e l’esistenza.

È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo (LF 4)

Contro l’idea corrente che la fede sia facoltativa e soggettiva, o che addirittura mortifichi la ragione e la libertà, occorre considerare che, al contrario, l’uomo è un essere credente! È normale essere affidati, affidarsi ed essere affidabili. È cosa buona aver fiducia ed essere fiduciosi. È ragionevole ritenere che la realtà è avvolta dal mistero, mentre è irragionevole pensare il contrario: le leggi di natura sono poca cosa rispetto alle leggi della libertà e dell’amore. Ancora, è ragionevole affidarsi più a Dio che agli uomini: essi possono mentire e sbagliare, Lui no! Ma poi, soprattutto, siamo fatti per amare, e l’amore si nutre essenzialmente di fiducia. La fede cristiana si fonda su un Dio che in Gesù si è mostrato del tutto affidabile: un Dio buono e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore, un Dio che ci vuole sani e salvi, che desidera stipulare con noi un’alleanza d’amore, e che per questo ha messo in gioco la vita del Suo Figlio Unigenito.

Tuttavia, può essere difficile credere ed evitare di essere increduli e sospettosi o creduloni e ingenui, perché credere è appoggiarsi alla parola e alla testimonianza di altri, vincendo la pretesa illusoria di trovare sicurezza solo nell’evidenza dei fatti e dei ragionamenti, a ciò che si può toccare e misurare, vedere e padroneggiare: le cose più importanti della vita non sono oggetto di misura ma di desiderio, non soprattutto di ragione ma di decisione, non di calcolo ma di dono, non di controllo ma di coraggio.

Nel cristianesimo la fede è l’organo della verità e della libertà: Gesù non chiedeva di credere ciecamente, ma diceva “vieni e vedi”, “attiva la tua libertà e la tua intelligenza”. La fede cristiana non è un salto nel buio, ma nella luce: non è il contrario della ragione e della libertà, ma è la ragione e la libertà potenziati nell’incontro con Gesù, che è insieme il Logos (in greco significa “parola”, “ragione”) e il Filius (libertà: in latino “liberi” significa “figli”!). Ma poi, soprattutto, nessuno può darsi da sé la vita eterna, nessuno può salvarsi da solo, e Gesù lo dice chiaro: “io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25). La fede apre le nostre possibilità e le apre al Dio dell’impossibile: la fede riconosce che non tutto è possibile all’uomo, ma “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).

Si può fare lectio divina su Lc 5,1-11, dove si narra la pesca miracolosa, e dove si impara la fede come il gettare le reti non sulle mie vedute ma “sulla tua parola”.

Occorre accompagnare i nostri ragazzi a riconoscere e gustare la ragionevolezza e la libertà della fede, mettendoli in guardia dalla tentazione di screditare la fede in nome dell’oggettività della scienza o della soggettività della coscienza: la fede dice no alla schiavitù del razionalismo e del relativismo, per cui sarebbe vero solo ciò che si pensa e ciò che si sente.

In educazione, si può approfondire la necessità di riaprire continuamente la questione di Dio, di custodire il senso del mistero, di non perdere la capacità simbolica che ci fa rintracciare la presenza di Dio nelle cose del mondo.


2. “Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38): la fede e l’indifferenza.

Maria deve imparare a deporre i propri desideri e i pro­pri sogni, e andare da Elisabetta con piena disponibilità, ossia con il cuore vuoto di sé stessa. Riempita di Cristo, Maria sgorga così nella carità del Magnificat… Di fronte all'annuncio dell’angelo, Maria non sta a negoziare o chiedere conferme, né chiede di che genere sarà il suo compito e quale sarà il suo spazio. Maria non è preoccupata del suo “fa­re”. Ella dà la totalità del proprio cuore e della propria persona, senza porre condizioni. Si sottomette in un atto di fede e umiltà, offrendo la sua disponibilità al progetto di salvezza. Maria apre il proprio “grembo” in totale fiducia accogliendo il Verbo, diven­tando così uno strumento divino per gli eventi futuri della storia della salvezza (F. Attard)

Siccome Dio è amore incondizionato, anche la fede in Lui deve essere incondizionata. Per questo la fede si fonda nella fede di Gesù e di Maria, nel sì del Figlio e nel sì della Madre al gioioso mistero dell’Incarnazione e al doloroso mistero della Redenzione. Nel sì di Gesù, che si identifica in tutto con la volontà del Padre, nel sì di Maria pronunciato senza limiti, senza riserve, senza preferenze.

La “santa indifferenza”, cioè la disponibilità a qualunque richiesta di Dio, riconosciuto come più saggio e più buono di noi, come Colui che ci ama di più di quanto noi ci amiamo, e che ci desidera più felici di quanto lo desideriamo noi, è il fondamento sicuro e la condizione insuperabile di ogni cammino spirituale. Senza la santa indifferenza il credente mortifica l’opera di Dio, l’azione dello Spirito, l’interpretazione della propria vita come vocazione e missione, la propria stessa riuscita. Chi manca di santa indifferenza, in fondo non crede in Dio, si sostituisce a Dio, si consegna agli idoli interiori delle proprie convinzioni e aspirazioni, o agli idoli esteriori degli ideali correnti o dei modelli seducenti.

Può essere difficile: troppe cose attirano il nostro desiderio, troppe false luci oscurano la vera luce, troppe ferite alterano la nostra immagine di Dio e l’idea che ci facciamo di noi stessi. Troppo ingombrante l’orgoglio, radice di ogni male, e troppo poco cerchiamo il ben liberante dell’umiltà.

Si può fare lectio divina su Lc 9,18-24, l’episodio di Cesarea di Filippo, dove è raccontato il punto di crisi su cui si gioca la fede o l’incredulità, cioè, in fondo, l’accoglienza o il rifiuto della Parola della Croce, sulla quale si gioca la verità del volto di Dio e la salvezza del volto dell’uomo.

Occorre oggi aiutare i ragazzi a comprendere che consegnare la propria volontà alla volontà di Dio non solo non mortifica la nostra volontà, ma la illumina e la corrobora. Si tratta allora di accompagnare i ragazzi a trovare se stessi nel servire il Signore, e non nell’asservirsi alla mentalità del mondo o all’affannosa ricerca e conferma di sé: poiché viene da Dio ed è fatto da per Dio, che è tutto Amore, “l’uomo si ritrova solo nel sincero dono di sé” (GS 24).

Sul piano educativo si può approfondire il tema della libertà interiore e della gestione dei confronti, per imparare ad accettare doni e limiti, ad vincere invidie e gelosie, a vivere cercando di piacere a Dio e non agli uomini. Si può approfondire anche il tema del discernimento vocazionale, molto difficile quando non si raggiunga la santa indifferenza.


3. “Il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2,4): la fede e l’indipendenza

Insieme al "credere che" è vero ciò che Gesù ci dice (Gv 14,10; 20,31), Giovanni usa anche le locuzioni "credere a" Gesù e "credere in" Gesù. "Crediamo a" Gesù, quando accettiamo la sua Parola, la sua testimonianza, perché egli è veritiero (Gv 6,30). "Crediamo in" Gesù, quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui, aderendo a Lui nell’amore e seguendolo lungo la strada (Gv 2,11; 6,47; 12,44) (LF18)

Che l’obbedienza della fede sia rinuncia all’autonomia della libertà è solo un pregiudizio moderno. Come minimo, va chiarito che la fede non tiene fermi ma mette in moto: fede non è solo “cose da credere” (fides quae), ma “alleanze da vivere” (fides qua): il cristiano non solo crede a Gesù, alle cose che ha detto, ma crede in Gesù, vive cioè come Lui ha vissuto.

La fede rende poi liberi e fecondi, poiché si appoggia sulla potenza e la creatività di Dio, e ne viene resa partecipe. Nella fede l’uomo trova libertà interiore, perché si pone sotto lo sguardo di Dio e non sotto il proprio autogiudizio o sotto il giudizio degli altri. E nella fede l’uomo trova la libertà di agire e di operare, poiché non muove i suoi passi per conto proprio ma per conto di Dio. Nella fede, la vita è sensata, poiché viene compresa come vocazione e missione, partecipazione reale all’azione creativa e redentrice di Dio. Dice l’incipit di Lumen Fidei che “chi crede vede”: obbedire è avere l’umiltà e prendersi il tempo di lasciarsi arricchire da chi ne sa più noi ed è più potente di noi, specialmente nell’ambito di cosa sia e come si viva l’amore vero.

La fede è liberante poiché inoltre illumina e orienta l’agire dell’uomo nella luce e nella forza dello Spirito, che lo istruisce intorno alla verità e alla giustizia di Dio, liberandolo dai moltissimi condizionamenti interiori ed esteriori che lo rendono incerto e lo fanno sbagliare: condizionamenti temperamentali, familiari, sociali, culturali, conflitti interiori, conflitti morali, conflitti civili, difficoltà di discernere il vero dal falso e il bene dal male. E la fede è liberante perché, dando spazio all’azione dello Spirito, riempie il cuore di quella pace e quella gioia che spinge ad agire, infonde coraggio nei pericoli, dona pazienza nelle prove, vince ogni scoraggiamento.

Si può fare lectio divina su Lc 5,17-26: nella guarigione del paralitico si vede come la potenza di Dio si accompagna sempre alla decisione di fede dell’uomo, che, nel caso, è chiamato a lasciarsi perdonare e a lasciarsi guarire, contro ogni evidenza e affezione al proprio male.

Qui i nostri giovani vanno aiutati, poiché, o per troppa povertà o per troppo benessere, soffrono di profondi sensi di inquietudine e di inadeguatezza, che li lasciano poco liberi in quanto favoriscono inclinazioni narcisistiche e mortificano la naturale apertura al dono di sé e alle scelte di vita definitive: paure e difficoltà nello sposarsi e nel consacrarsi, paura nel testimoniare con coraggio la propria fede, paura nel dedicarsi con fedeltà e libertà rispetto agli esiti.

In campo educativo, si può approfondire la necessità di aiutare i giovani alla coerenza delle emozioni, dei pensieri e delle azioni, perché imparino a non limitarsi a sentire e a pensare, ma puntino a vivere: la fede è sempre sentire, sapere e praticare, non una cosa senza l’altra.


4. “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45): la fede e l’obbedienza

San Paolo userà una formula diventata classica: fides ex auditu, “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17). La conoscenza associata alla parola è sempre conoscenza personale, che riconosce la voce, si apre ad essa in libertà e la segue in obbedienza. Perciò san Paolo ha parlato dell’"obbedienza della fede" (Rm 1,5; 16,26)… L’udito attesta la chiamata personale e l’obbedienza, e anche il fatto che la verità si rivela nel tempo; la vista offre la visione piena dell’intero percorso e permette di situarsi nel grande progetto di Dio; senza tale visione disporremmo solo di frammenti isolati di un tutto sconosciuto (LF 1.30)

Certo, la fede ha la forma di obbedienza, ma l’obbedienza non va equivocata con la cieca sottomissione alla volontà di altri. Come suggerisce il termine stesso (“obbedienza” dal latino “ob-audire”), obbedire è aderire e onorare una relazione significativa, addirittura fondante, come l’obbedienza a Dio Creatore e ai propri genitori, o perfino definitiva, come nell’amore coniugale degli sposi e come nell’amore nuziale di Cristo sposo della Chiesa sposa.

La fede educa ad essere liberi, ma non da soli, ma nei legami. E fa comprendere che se sbagliata è la disobbedienza, è altrettanto sbagliata l’obbedienza servile: il figlio prodigo della parabola perde tutto, e il figlio maggiore non gode di niente. L’obbedienza ben intesa è filiale e nuziale, è modalità dell’amore.

Può essere difficile obbedire come Dio vuole, dire fiat come Maria, dire “mio cibo è fare la volontà di Dio” come Gesù, perché molto dipende da come viviamo i legami. Essere figli non è facile: da un lato il nostro sguardo sul mondo dipende enormemente dalla relazione che abbiamo avuto con mamma e papà, dall’altro esso rischia di essere accecato dall’io, dai suoi bisogni, dal suo orgoglio).

Si può fare lectio divina sulla meravigliosa parabola del Padre misericordioso narrata in Lc 15,11-32, dove si confrontano la disobbedienza e la corruzione del cuore, l’obbedienza servile e la durezza di cuore, l’obbedienza filiale e la bellezza di un cuore misericordioso.

Delicatissimo il compito di favorire la fede nei giovani aiutandoli ad elaborare i propri vissuti familiari e guarire dalle loro ferite: si tratta di risorgere da legami subiti o violati, da una parte da eredità scadenti, scomode e ingombranti, dall’altra da ingenuità e presunzioni che hanno portato a rinnegare il patrimonio di un matrimonio, di una cultura, di una fede. Non è possibile spiccare il volo per una vita nuova senza aver ringraziato i genitori per i doni, perdonato i loro errori, ma infine senza il coraggio di intraprendere cose nuove senza recriminare riconoscimenti a approvazioni che talvolta non verranno.

In campo educativo, si può approfondire la verità che “obbedire è meglio” (C. Miriano), è più liberante e più arricchente del contrario. E si può lavorare sui temi legati all’obbedienza: stili educativi autoritari e permissivi, capricci e comportamenti oppositivi, permessi e divieti, coccole e castighi.


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5. “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23): la fede e la provvidenza

Quello che viene chiesto ad Abramo è di affidarsi alla Parola. La fede capisce che la parola, una realtà apparentemente effimera e passeggera, quando è pronunciata dal Dio fedele diventa quanto di più sicuro e di più incrollabile possa esistere, ciò che rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo… La grande prova della fede di Abramo, il sacrificio del figlio Isacco, mostrerà fino a che punto questo amore originario è capace di garantire la vita anche al di là della morte (LF 10.11)

La fede è la cosa più potente che abbiamo a disposizione per la salvezza e la fecondità della nostra vita, perché ci mette a disposizione i doni di Dio, il quale, da parte sua, non desidera altro che vivere con noi uno scambio di doni. In effetti, nel Vangelo è chiaro che la potenza di Dio non opera in assenza della fede, mentre quando c'è la fede il Signore può operare, ma appunto con la nostra cooperazione: “la tua fede ti ha salvato” (ad es. Lc 17,19 o 18,42).

“Provvidenza” è una parola bellissima del vocabolario cristiano: dice che “Dio ha occhi buoni in nostro favore”! Dice che Dio non si limita a governare il mondo con le leggi della sua creazione, ma interviene nella nostra storia in molti modi: misteriose prevenzioni e protezioni dal male e dal maligno, ispirazioni interiori o eventi esteriori che arrivano dove noi non arriviamo, e poi grazie speciali e anche miracoli: in essi Dio manifesta la sua signoria anche sulla sua stessa creazione, per promuovere il nostro bene e per sostenere la nostra debole fede.

Il punto spiritualmente delicato è che di norma Dio fa tutto facendoci fare tutto. Per questo, impegnarsi con tutte le proprie forze e affidarsi con tutto il cuore devono camminare di pari passo. Nella tradizione salesiana suona così: “piedi in terra e cuore in cielo”, “fare tutto come se dipendesse da noi, sapendo bene che tutto dipende da Dio”. Ci va tuttavia di volta in volta molta vigilanza perché l’impegno non scada in secolarismo, come se Dio non ci fosse, e l’affidamento non ripieghi in spiritualismo, come se la libertà dell’uomo non contasse nulla.

Detto questo, la fede sa che Dio è presente e operante, che lo si può invocare, che ci può ascoltare, che ci esaudisce anche meglio di quanto ci aspettiamo. La teologia classica ha chiarito definitivamente ciò che l’esperienza cristiana ha da sempre sperimentato: “a chi fa tutto ciò che è in suo potere, Dio non nega la sua grazia”! Occhio però alla tentazione di dire: “ho pregato e Dio non mi ha ascoltato”. Spesso preghiamo poco e male, non sappiamo cosa chiedere, meno ancora sappiamo con precisione quale sia il nostro bene: fede è lasciar fare a Dio!

Si può fare lectio divina su Lc 8,40-56, dove la potenza della fede è raccontata nel gioco della generosa disponibilità di Dio e delle necessarie disposizioni dell’uomo

I nostri giovani sono spesso tentati di scoraggiarsi di fronte alle imprese e alle difficoltà, e di dire: “non sono capace”, “non me la sento”, “non ci riesco”. Incoraggiamoli a rivolgersi a Dio e chiedere qualunque cosa, ma soprattutto a chiedere lo Spirito con tutti i suoi sette doni e tutti i suoi molteplici frutti: lo Spirito Santo è infatti il Dono dei doni, il Dono che organizza gli altri doni, che ci aiuta a vivere bene guadagni e perdite, ricchezze e povertà, successi e fallimenti. È lo Spirito che ci insegna a prenderci cura e a lasciar andare, a ad avere affetti e a vivere distacchi.

Per una pedagogia della fede, è importante rendere i ragazzi consapevoli che Dio agisce in maniera ordinaria e straordinaria nella frequentazione quotidiana della Parola e nella buona ricezione dei Sacramenti. Don Bosco ne era convinto: “dicasi ciò che si vuole sull’educazione, ma non credo che vi possa essere vera efficacia senza la Confessione e la Comunione”.


6. “Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice” (Sal 115,10): la fede e la sofferenza

Parlare della fede spesso comporta parlare anche di prove dolorose, ma appunto in esse san Paolo vede l’annuncio più convincente del Vangelo, perché è nella debolezza e nella sofferenza che emerge e si scopre la potenza di Dio che supera la nostra debolezza e la nostra sofferenza… Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore (LF 56)

Una delle massime obiezioni alla fede è rappresentata dall’esperienza della sofferenza, specialmente la sofferenza degli innocenti: “perché Dio ci lascia soffrire”, “perché ci fa soffrire”, “perché non interviene”? “E io cosa ho fatto di male perché mi accada questa disgrazia”? “perché Dio mi punisce”? Ora, in merito, la fede è convinta con buone ragioni di alcune cose. La prima è che Dio non vuole il male, non manda il male, e al male non risponde col male. “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1Gv 1,5). In Dio non c'è alcun lato oscuro. Dio è assolutamente affidabile, nulla vi è in lui di arbitrario o di dispotico, di contrario al bene dell’uomo.

La prova più bella sta al cuore della stessa rivelazione di Dio nell’umanità del Figlio. Gesù ha rivelato il volto paterno di Dio nelle opere di liberazione dal male, e solo in queste: nessuna esibizione di pura potenza, nessun gesto di ritorsione, nessun tentativo di salvare se stesso. Di fronte a una religiosità che associava delitto e castigo (“se sei malato è colpa tua”, la malattia è la punizione per le tue colpe”), “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui” (At 10,38).


C'è poi il fatto che Gesù non solo ha lenito tante sofferenze, ma ha attraversato Lui stesso la sofferenza, il dolore fisico, psichico e spirituale fino all’esperienza dell’abbandono del Padre. Gesù ha sofferto più di noi, e lo ha fatto per insegnarci ad affrontare il male e il dolore senza dargliela vinta. È vero che Dio non libera miracolosamente tutti da ogni male, e questo perché l’unico valore assoluto è l’amore come dono di sé, ma intanto ha affrontato lui stesso, e da innocente, l’ingiustizia, il supplizio e la morte, per renderci capaci di affrontare il male in maniera non distruttiva e non autodistruttiva. Ecco il senso della Croce: non è la semplice sofferenza, ma la sofferenza vissuta in Gesù e come Gesù. Esiste per i credenti qualcosa come il “dolore salvifico”: in Gesù la sofferenza da una parte va combattuta, dall’altra viene trasfigurata.

Si può fare lectio divina su Lc 7,18-35, dove si vede che la nostra fede in Gesù è la fede in un Dio che manifesta il suo volto nelle opere di liberazione dal male e che, di fronte al male, vince il male con il bene.

È bellissimo insegnare ai giovani ad affrontare con forza d’animo il proprio male e ad adoperarsi nel lenire il dolore degli altri. È bellissimo aiutare i giovani – oggi troppo vezzeggiati, iperprotetti e circondati di ogni genere di comodità – a ringraziare non solo dei doni, ma anche delle croci: “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 48,13.21).

Per un’educazione cristiana in una società troppo prestazionale e competitiva, è urgente approfondire la centralità del dono di sé: doni e limiti vanno accettati e messi a disposizione, altrimenti ci si sente sempre sbagliati, sempre in affanno.


7. “La fede opera per mezzo della carità” (Gal 5,6): la fede e la benevolenza

È impossibile credere da soli. La fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del credente, non è rapporto isolato tra l’"io" del fedele e il "Tu" divino, tra il soggetto autonomo e Dio. Essa si apre, per sua natura, al "noi", avviene sempre all’interno della comunione della Chiesa… Questa apertura al "noi" ecclesiale avviene secondo l’apertura propria dell’amore di Dio, che non è solo rapporto tra Padre e Figlio, tra "io" e "tu", ma nello Spirito è anche un "noi", una comunione di persone (LF 39)

“Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta”, scrive San Giacomo. La saldezza della fede esiste per il dinamismo della carità. Spiega don Sala: “la fede rialza per inviare, rimette in piedi per chiederci movimento, si prende cura di noi chiedendoci di fare altrettanto con gli altri. Alla fede che salva deve seguire logicamente una fede che dà testimonianza e missione per edificare il regno di Dio in questo mondo”.

Il punto sempre delicato, per tutti, è quello di non separare fede e vita, contemplazione e azione. Veementi le parole di Jahvè attraverso i profeti: “non sopporto delitto e solennità” (Is 1,13). E chiare sono le parole di Gesù: “non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. E “perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,21.24).

L’operosità della fede è poi tante cose: è celebrazione liturgica, comunione ecclesiale, testimonianza fino al martirio, missione evangelizzatrice, carità sociale. Resta il fatto, contro l’opinione contraria e però diffusa, che la fede non allontana dal mondo, ma non risulta estranea all’impegno concreto nella società: “il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile. Proprio grazie alla sua connessione con l’amore, la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace” (LF 51).

Si può fare lectio divina su Lc 10,1-2. È il mandato missionario, dove emerge la dimensione testimoniale della fede, il fatto che la fede in Dio passa attraverso molte mediazioni: anzitutto il corpo di Gesù, preceduto dalle dodici tribù di Israele e seguito dai dodici apostoli della Chiesa, dall’alleanza antica in Mosè alla nuova ed eterna alleanza in Gesù, ma soprattutto da corpo e dal cuore di Maria.

Nell’educazione della fede è importante aiutare i giovani a prendere coscienza di due cose. La prima è che la fede non si riduce a pensieri e sentimenti, ma si esprime in atti: questo va detto a motivo della tendenza a un’interiorità troppo mentale o troppo emotiva. La seconda è che l’amore cristiano non è semplice solidarietà ma carità, non è fatto semplicemente di opere, ma di opere della fede, opere che sgorgano dalla relazione col Signore: solo così le iniziative saranno libere da deviazioni ideologiche, rischio dello scoraggiamento, dall’ossessione dei risultati, da un’efficienza a cui non corrisponde una reale efficacia. Lo si vede bene nella prodigiosa fecondità dei Santi e delle Sante.

In educazione, si può toccare il tema della motivazione, della buona volontà, dell’osservanza delle regole, della soprattutto della lotta contro i vizi capitali, particolarmente dell’accidia, che si segnala in maniera opposta, nella svogliatezza o nell’iperattività: al centro ci sta sempre e solo “quello che mi va”.

8. “Chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,38): la fede e l’abbondanza.

Nella parabola del seminatore, san Luca riporta queste parole con cui Gesù spiega il significato del "terreno buono": “Sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza” (Lc 8,15). Nel contesto del Vangelo di Luca, la menzione del cuore integro e buono, in riferimento alla Parola ascoltata e custodita, costituisce un ritratto implicito della fede della Vergine Maria. Lo stesso evangelista ci parla della memoria di Maria, di come conservava nel cuore tutto ciò che ascoltava e vedeva, in modo che la Parola portasse frutto nella sua vita. La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dirà santa Elisabetta: “Beata colei che ha creduto”.

La fede permette a Dio di operare nel mondo, nella Chiesa, in noi, in me. E quando Dio opera, il suo contrassegno è la sovrabbondanza. Anche qui Gesù parla chiaro: nella fede si possono “si può camminare sulle acque” e si possono “spostare le montagne”. Cioè: nella fede, l’impossibile diventa possibile.

Qui la posta in gioco è l’autentica fecondità delle opere. Esistono infatti quelle che la Lettera agli Ebrei chiama “opere morte” (Eb 6,1 e 9,14), quelle che non portano frutto: esiste il camminare a vuoto, esiste la dispersione e l’inconcludenza, esiste un affannarsi e un faticare che alla fine risulta sterile. Qui la Scrittura dice che c'è una bella differenza fra chi confida nel Signore e chi confida in se stesso: «maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa… Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l'acqua… non smette di produrre i suoi frutti» (Ger 17,5-8).

È certo che nella vera fede si porta molto frutto. Gesù l’ha detto e l’ha promesso. Si può avere una vita umile e invisibile, e invisibili possono essere a lungo i risultati, ma saranno abbondanti. L’esempio migliore è quello di Maria, la piccola ancella del Signore che è diventata Regina del cielo e non smette di operare con la sua efficacia materna. In Maria, come nei grandi Santi e Sante, è proprio vero quello che dice Gesù: “in verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14,12).

Si può fare lectio divina su Gv 2,1-11, le nozze di Cana, alla cui conclusione “i discepoli credettero in Lui”. Lì sono in gioco tutte le dimensioni della fede, e quando sono veramente in gioco permettono il miracolo del vino buono dell’amore umano innestato e compiuto nell’amore di Dio, il vino buono delle nozze umane che prepara la consumazione definitiva delle nozze dell’Agnello.

Per la formazione dei giovani, è importante aiutarli a comprendere che ciò che non è seminato nella fede si disperde e non porta frutto. Ciò è decisivo per l’educazione morale: è inutile dire “Dio mi vuole felice” e “non mi può chiedere questo o quest’altro” per legittimare i propri impulsi e desideri, dimenticando la Parola del Signore e calpestando la santa Legge di Dio. 

Un tema educativo che si può approfondire è quello della gestione del tempo libero e dei new media: la loro presenza può essere educativa, ma la loro invadenza può oscurare il primato della Parola accolta e corrisposta.

Don Roberto Carelli sdb 

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