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LA NOSTRA FEDE, LA FEDE DEI NOSTRI FIGLI.“AVVENGA DI ME SECONDO LA TUA PAROLA” (LC 1,38): LA FEDE E L’INDIFFERENZA.

O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.

Nel ritiro plenario al Colle don Bosco abbiamo inaugurato, in comunione con tutta la Famiglia Salesiana, l’itinerario formativo dell’anno sul tema della fede. Lì la fede ci si è presentata nel suo carattere di luce: non salto nel buio ma salto nella luce. L’uomo è in ogni caso un essere credente, e già per questo affidarsi ed essere affidabili è cosa ragionevole e liberante. Ma aver fede in Dio, precisamente nel Dio di Gesù, è credere in un Dio “che è capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo”, non solo qualche settore, e questo perché Gesù è insieme il Logos, il senso di tutte le cose, Colui che soddisfa il nostro bisogno di verità, e il Filius, l’Amato, Colui che sta a fondamento e compimento di tutto il nostro desiderio di amore. 


Oggi, nella giornata mariana che l’Adma offre alla Famiglia Salesiana, andiamo a meditare sulla condizione fondamentale che ci consente di aver fede per davvero. Ora, questa condizione è tradizionalmente chiamata “santa indifferenza”. Essa risponde a questa grande domanda: è possibile avere la stessa “fede” di Gesù, la stessa determinazione e lo stesso coraggio nel consegnarsi amorosamente al Padre e nel consegnarsi dolorosamente agli uomini? Per la risposta, ricordiamo gli Esercizi sul Padre nostro: l’ideale di Cristo e del cristiano non è quello di accumulare piaceri ed evitare dolori, non quello di stare semplicemente in pace e di non dover affrontare conflitti, quello di avere successo e di non avere limiti, ma è quello di fare della volontà di Dio la propria volontà. E farla proprio bene: “come in cielo così in terra”! tutta la Scrittura risuona su questo punto: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34)! E “nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola” (Sal 118,16). Ma come è possibile questo se viviamo per conto nostro invece che per conto di Dio, se i nostri desideri non corrispondono ai desideri di Dio, se abbiamo tante cose, persone, obiettivi che preferiamo alla vocazione ricevuta da Dio, se seguiamo le nostre attitudini naturali o le nostre preferenze spirituali? 


Ecco allora il “punto zero” della vita spirituale, che la Scrittura attesta in molti modi: “Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno… Benedetto l'uomo che confida nel Signore, e il Signore è sua fiducia” (Ger 17,5.7); “Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11); “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3). Si chiarisce allora l’idea di “santa indifferenza”: intanto non è semplice “indifferenza”, ma indifferenza “santa”, secondo Dio, indifferenza che non ha nulla a che vedere con l’insensibilità e l’apatia, la rassegnazione e il cinismo, l’incapacità di distinguere e valutare, l’indisponibilità a riconoscere che cosa “fa la differenza”. Nel modo più semplice si può dire: santa indifferenza è “disponibilità” nei confronti di Dio.


Spunti spirituali


1. Siccome Dio è amore incondizionato, anche la fede in Lui deve essere incondizionata. Per questo la fede si fonda nella fede di Gesù e di Maria, nel sì del Figlio e nel sì della Madre al gioioso mistero dell’Incarnazione e al doloroso mistero della Redenzione; nel sì di Gesù, che si identifica in tutto con la volontà del Padre, nel sì di Maria pronunciato senza limiti, senza riserve, senza preferenze; nel sì di Gesù che confessa: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29); e nel sì di Maria, che dichiara: “eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). 


Allora santa indifferenza significa non mettere il proprio io prima di Dio, non mettere limiti alla Sua Volontà (“non sono capace… non me la sento… sono troppo giovane, non so parlare…”), non mettere le proprie preferenze davanti a ciò che Dio preferisce (“sarebbe bello… mi piacerebbe… sembra opportuno… Signore, questo non ti succederà mai…”), non mettere riserve al propria disponibilità (“ti seguirò, ma solo se… chiedimi quello che vuoi, ma  non chiedermi… chi siete voi che mi chiedete cose impossibili?...”), non chiedere troppe spiegazioni riservandosi di accettarle o meno (“se mi convincono… Signore, questo discorso è duro…”.  Santa indifferenza è pregare come dice quel bel canto: “Come tu mi vuoi, io sarò, dove tu mi vuoi, io andrò”.


Preziose le parole del nostro Rettor Maggiore, don Fabio, che addita nella disponibilità di Maria il modello perfetto del credente, ciò per cui la santa indifferenza è appunto la fede di Maria, che a sua volta è “matrice” e “madre” della Chiesa: Maria deve imparare a deporre i propri desideri e i propri sogni, e andare da Elisabetta con piena disponibilità, ossia con il cuore vuoto di se stessa. Riempita di Cristo, Maria sgorga così nella carità del Magnificat… Di fronte all'annuncio dell’angelo, Maria non sta a negoziare o chiedere conferme, né chiede di che genere sarà il suo compito e quale sarà il suo spazio. Maria non è preoccupata del suo “fare”. Ella dà la totalità del proprio cuore e della propria persona, senza porre condizioni. Si sottomette in un atto di fede e umiltà, offrendo la sua disponibilità al progetto di salvezza. Maria apre il proprio “grembo” in totale fiducia accogliendo il Verbo, diventando così uno strumento divino per gli eventi futuri della storia della salvezza (F. Attard)


2. La “santa indifferenza”, cioè la disponibilità a qualunque richiesta di Dio, riconosciuto come più saggio e più buono di noi, come Colui che ci ama di più di quanto noi ci amiamo, e che ci desidera più felici di quanto lo desideriamo noi. Senza la santa indifferenza il credente mortifica l’opera di Dio, l’azione dello Spirito, l’interpretazione della propria vita come vocazione e missione, la riuscita stessa della propria vita. Chi manca di santa indifferenza, in fondo non crede in Dio ma si sostituisce a Dio, si auto-limita alle proprie pensate e vedute, si aggrappa alle proprie povere doti o vive in conflitto coi propri limiti, si consegna agli idoli interiori delle proprie convinzioni e aspirazioni, o agli idoli esteriori degli ideali e dei modelli della mentalità corrente. 


La santa indifferenza sembra ardua, ma in realtà è molto rispettosa della nostra umanità: se invece di fissarsi sulla volontà di Dio uno si rinchiude nei propri pensieri e nelle proprie emozioni, o invece di puntare alla propria missione si lascia affascinare dalle molto cose belle e buone del mondo, costui sarà senz’altro molto vulnerabile ad ogni tentazione.


3. Giungere al punto zero della santa indifferenza è così importante e così difficile, che sant’Ignazio propone di dedicare tutta la prima settimana dei suoi famosi Esercizi a suscitare e verificare proprio la santa indifferenza, e ritiene che se l’anima non arriva ad essa, è inutile o perfino dannoso farlo proseguire nelle altre settimane, perché gli produrrebbero una tensione interiore lacerante e dolorosa fra la propria volontà e la volontà di Dio. Ciò è suggerito più volte nel Vangelo, per esempio quando Gesù, dopo aver invitato a “odiare il padre e la madre” e a “portare la croce” per poterlo seguire, dice: Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (Lc 14,28-33).  


O quando, invitando il giovane ricco a lasciare tutto per seguirlo, quegli,  udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco (Lc 18,18). 


4. Il punto è che troppe cose attirano il nostro desiderio, troppe false luci oscurano la nostra mente, troppi disordini alterano la nostra immagine di Dio e l’idea che ci facciamo di noi stessi. Troppo ingombrante l’orgoglio, radice di ogni male, e troppo esile l’umiltà, radice di ogni cammino spirituale. Troppi obiettivi diventano puntigli, fissazioni, ossessioni, ma sono lontani dalla volontà di Dio. E troppo astuto e subdolo è il tentatore, che fa apparire bene il male e male il bene. Per questo, sant’Ignazio ritiene che il guadagno della santa indifferenza è il “principio e fondamento” della vita cristiana, del cammino di fede, del discernimento spirituale (EESS 23).


Questi i due principali punti: 

  • Solo Dio è l’assoluto, il resto è relativo

  • Dio è il fine dell’uomo, il resto va ordinato al fine: 


L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo - Ecco allora l’orientamento pratico:  Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati. Sembra cosa eroica, ma è cosa “furba”, e risponde chiaramente all’insegnamento evangelico, quando Gesù insegna a rimuovere ogni ostacolo nella ricerca del Regno: Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna (Mc 9,43-47).


5. Ma ancora un’ultima volta, vediamo quando è importante questo insegnamento sulla santa indifferenza. Può l’uomo, che è finito, fronteggiare ed essere adeguato a Dio, che è infinito? Tutto in noi è finitezza, ma esiste un “momento” di infinito in noi? Sì, una cosa sola: la disponibilità all’azione di Dio, il lasciar accadere la Sua volontà senza porre ostacoli. Allora, per quanto siamo vasi fragili, portiamo in noi un tesoro prezioso, e pur deboli, opera in noi la potenza di Dio! vale addirittura per i difetti: anche i grandi santi avevano limiti e difetti temperamentali, ma hanno fatto grandi cose perché si sono consegnati con cuore generoso alla loro vocazione e missione


6. Possiamo fare un po’ di lectio divina su Lc 9,18-24, l’episodio di Cesarea di Filippo, dove è raccontato il punto di crisi su cui si gioca la fede o l’incredulità, cioè, in fondo, l’accoglienza o il rifiuto della Parola della Croce, sulla quale si gioca la verità del volto di Dio e la salvezza del volto dell’uomo.


Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.  «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».  Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? - Cosa dice la gente? il rischio di ridurre Gesù alle proprie misure note e di non aprirsi alla novità delle Sue misure… - Voi cosa dite? il rischio di conoscere la verità solo in parte, senza comprenderne le premesse e le conseguenze, l’Amore trinitario e l’Amore crocifisso - Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto. Affrontare lo scandalo del Vangelo… - Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà. Accogliere la logica del Vangelo: trattenere e accumulare è perdere, mentre perdere è ritrovare, cercare di scampare e tirare a campare è morire, mentre morire è vivere… - Chiediamoci infine: sono aperto al mistero di Dio? sono aperto alla volontà di Dio? quali desideri, paure, resistenze, fissazioni, ostinazioni, bloccano la mia crescita spirituale e la fecondità di Dio in me? In cosa ho sperimentato che davvero “nella Tua volontà è la mia gioia”?


Riflessi educativi


1. Occorre oggi aiutare i ragazzi a comprendere che consegnare la propria volontà alla volontà di Dio non solo non mortifica la nostra volontà, ma la illumina e la corrobora. Si tratta allora di accompagnare i ragazzi a trovare se stessi nel decidere di servire il Signore, e non nell’asservirsi alla mentalità del mondo o all’affannosa ricerca di sé: poiché viene da Dio ed è fatto per Dio, che è tutto Amore, “l’uomo si ritrova solo nel sincero dono di sé” (GS 24). Programma: “non chiederti chi sono io? Ma chiediti ma per chi sono io” (papa Francesco). 


2. La lotta fondamentale da ingaggiare oggi è la lotta contro il narcisismo, il ripiegamento su di sé, che è il modo migliore per perdere la vita. Esso impedisce di cogliere un minimo la verità di se stessi. Qui si può approfondire il tema della libertà interiore e della gestione dei confronti, e accompagnare i ragazzi nel grande compito di accettare i propri doni e i propri limiti, a vincere invidie e gelosie, a vivere cercando di piacere a Dio e non agli uomini, a mettere a fuoco ciò che il Signore mi chiede oggi.


3. Si può approfondire anche il tema del discernimento vocazionale, molto difficile quando non si raggiunga la santa indifferenza. Specialmente nelle vocazioni di speciale consacrazione, o nella vocazione matrimoniale quando la vita si fa difficile, le esigenze della nostra vocazione sembrano superare le nostre forze (anzi le superano!), si vorrebbe un orizzonte di vita più semplice e gestibile, si è tentati di dire che “Dio mi vuole felice” ma la felicità coinciderebbe con ciò che a noi piace. Occorre orientare alla convinzione testimoniata da san Paolo che “tutto posso in colui che mi dà forza” (Fil 4,13).


4. Ci si fida di qualcuno quando lo si conosce, quando gli si vuole bene, quando c’è una buona relazione e si è certi che niente potrebbe oscurare questa fiducia. Se noi adulti abbiamo fiducia in Dio, se coltiviamo una relazione costante con Lui, siamo certi che Lui vuole solo il bene per noi, siamo disposti ad accettare tutto quello che viene dalle sue mani con spirito di fede, serenità e abbandono. Un bambino impara ad affidarsi a Dio solo se ha sperimentato di poter affidarsi ai genitori: la fiducia in Dio si costruisce nell’esperienza quotidiana di essere amato senza condizioni, con tenerezza e misericordia. Quando i figli si sentono accolti anche nei loro errori, imparano che Dio non li abbandona mai. Come reagisco quando non ho il controllo della situazione? Mostro paura o fiducia? È importante: le nostre reazioni influiscono in modo potente nei figli.


Don Roberto Carelli sdb

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