O COME OMOSESSUALITÀ
- Adma Don Bosco
- 6 giorni fa
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Fra la M di “matrimonio” e la P di “procreazione” ci sembra giusto ospitare la O di “omosessualità”. da una parte, infatti, l’omosessualità, in quanto priva di complementarietà e fecondità, si chiama fuori dall’alfabeto familiare, d’altra parte è una realtà che accade apertamente o silenziosamente, ma sempre drammaticamente, proprio in famiglia. Anche papa Francesco, intervenendo sulla tendenza giornalistica a ingigantire conflitti ecclesiali o prefigurare novità radicali nella dottrina o nella prassi sacramentale, si è espresso in questo senso: “al Sinodo della famiglia nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale. Quello di cui abbiamo parlato è come una famiglia che ha un figlio o una figlia omosessuale lo educa, come lo cresce, come si aiuta questa famiglia ad andare avanti in questa situazione un po’ inedita”. Dunque parliamone, limitandoci qui ad alcuni presupposti e chiarimenti generali, senza i quali è difficile anche solo dialogare.

Qualche premessa. A rigore, parlare di omosessualità e eterosessualità è rispettivamente improprio e inutile: il termine “sessualità” è più che sufficiente, perché con esso si intende esattamente la differenza uomo-donna. Senza mezzi termini, Ph. Ariño, pubblicista omosessuale francese, dice che “la divisione del mondo in omosessuali/eterosessuali è una cantonata antropologica monumentale, in quanto la sola divisione reale dell'umanità, quella che in più dà la vita, è tra uomo e donna”. Propriamente non esistono “gli omosessuali”, esiste il desiderio omosessuale: su questo sono d’accordo sia la sapienza divina che l’evidenza scientifica. Occorre allora distinguere il piano dell’essere da quello dell’agire: sul piano dell’essere – lo dicono appunto sia la Bibbia che il Dna – esistono sempre e solo uomini e donne. L’omosessualità riguarda l’ordine del desiderio. Al contrario, la differenza dei sessi è talmente originaria, che senza di essa neanche esisteremmo; talmente determinante che non solo caratterizza l’esistenza terrena dell’uomo, ma resta incancellabile anche in cielo; e talmente importante da farci simili a Dio: “l’immagine di Dio – così il papa – è la coppia matrimoniale. Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento, Dio, si rispecchia in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore”. A rendere oggi quasi impossibile trovare punti di intesa genere e generazione sono quattro grandi pregiudizi. Il primo è la riduzione dell’amore a sentimento. “Love is love”, si dice: se c’è il sentimento, il resto è secondario. L’appello all’amore legittima ogni condotta: si può arrivare a sposare un albero, o se stessi: se c’è amore, deve cadere ogni obiezione. “Ma se basta l’amore – argomenta Hadjadj – allora per educare vanno bene gli orfanotrofi”: non servono padri e madri, possono andare anche due omosessuali che si amano, meglio ancora se pedagogisti. In realtà, poiché solo l’amore uomo-donna è generativo, solo esso è la radice del fatto educativo! Altro pregiudizio che impedisce un sereno dibattito sull’omosessualità è la rivendicazione della libertà come scelta a prescindere, insofferente di qualsiasi oggettività, vincolo religioso o limite naturale. Fuori da ogni esame di realtà, diventa impossibile non solo dialogare, ma anche litigare. Al punto che anche la sfera del diritto, destinata a regolare il bene comune secondo giustizia, viene piegata al riconoscimento dei diritti soggettivi, paralizzando ogni forma istituita del vivere. Sicché ogni obiezione a matrimonio e adozioni gay viene subito bollata col marchio di “omofobia”. Non è però ragionevole includere nell’idea di famiglia qualunque aggregazione affettiva: le varianti non celano una struttura inconfondibile: la differenza, l’amore e la fecondità dell’uomo e della donna. Un ulteriore pregiudizio è l’erronea convinzione che i corpi non siano portatori di significati. Al che, lo si capisce, un orifizio vale l’altro: conta solo il sentimento amoroso, la ricerca del piacere, la convinzione di essere felici. In questo azzeramento del significato simbolico dei corpi che possono trovare ospitalità in realtà come la “banca del seme” e l’“utero in affitto”, perfino la cancellazione d’ufficio dei termini di “padre” e “madre”. Il punto è però che un padre non è solo “funzione paterna”, e non chiunque può sostituire una madre nella “funzione materna”. Va da sé che il seme paterno non è solo materiale biologico, e il grembo materno è ben più di una provetta! Alcuni chiarimenti. La dottrina cristiana sull’omosessualità invita a distinguere con ogni cura la persona, la condizione e gli atti omosessuali: la persona gode della massima dignità, la condizione omosessuale non appartiene di diritto all’ordine della creazione, gli atti omosessuali sono un disordine morale. Questo sta nel fatto che all’espressione genitale dell’amore omosessuale manca la complementarietà e la fecondità che realizzano sul piano sessuale la dimensione unitiva e diffusiva dell’amore. Il Magistero, richiamando come la genitalità sia moralmente lecita solo nel matrimonio, si esprime così: “scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale”. Le cause dell’omosessualità non sono scientificamente chiarite in modo univoco, ma la sua genesi sta senz’altro nell’ambito del delicato processo di identificazione sessuale che riguarda semplicemente tutti e che consiste nel passaggio dal nascere maschi e femmine al diventare uomini e donne. Ciò è dovuto alla libertà, che ci chiede di accogliere e sviluppare ciò che ci è dato: corpo e sesso, doni e limiti, eredità familiare ed educativa, tutto ciò che si è agito e patito. Nulla di automatico. In questo senso il desiderio omosessuale non è una malattia o una perversione, ma può essere definito come un “conflitto psichico non risolto” (Anatrella), precisamente una difficile elaborazione del rapporto con il genitore dello stesso sesso (passaggio obbligato per tutti!), o, più semplicemente, una “ferita spirituale” (Ariño), che non definisce la persona nella sua totalità, né tantomeno colpevolizza qualcuno! A livello culturale, è però innegabile che il desiderio omosessuale, in quanto fuga dalla differenza, è il segno di un non incontro tra l'uomo e la donna e di una rottura dell’uomo con Dio, ulteriore prova che l’allontanamento da Dio produce una distanza dalla realtà. Parlare di famiglie e adozioni omosessuali è del tutto fuorviante: gli omosessuali stessi ne sono di solito ben coscienti. Il Sinodo ha infatti chiarito che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neanche remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Attenzione: non è un’affermazione solo confessionale! Una nota psicoanalista laica come la Vegetti Finzi ha spiegato che “se è vero che noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo, non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza”. Anche il rabbino Bernheim, figura di spicco nel mondo ebraico, parla chiaro: “non si può riconoscere il diritto al matrimonio a tutti coloro che si amano per il solo fatto che si amano. Il bambino si costituisce solo differenziandosi, e ciò suppone anzitutto che sappia a chi rassomiglia. Egli ha bisogno di sapere di essere il frutto dell’amore e dell’unione di un uomo, suo padre, e di una donna, sua madre”. Insomma – riassume Galli della Loggia – “non si può parlare di alcun diritto alla genitorialità, semmai il solo diritto è quello del bambino ad avere un padre e una madre”. La Chiesa insegna che le persone omosessuali vanno accolte con affetto e rispetto! In questo senso, dice bene Ariño, “la folla che applaude le persone omosessuali non le ama, perché in realtà non le conosce e chiude gli occhi sulle loro sofferenze”, e ha ragione quando osserva che “l'ideologia del genere è inconsciamente omofobica, anche se si presenta come gay friendly”. Non ci si può nascondere – lo sanno bene gli interessati e le loro famiglie – che l’omosessualità è sempre un dramma per una famiglia: è la fatica di aprirsi da parte dei figli, il loro timore di non essere accettati; ed è lo smarrimento dei genitori, che non sanno cosa pensare e cosa fare, spiazzati da un evento che sentono lontano da ciò che hanno imparato dell’amore. Infine, non deve sembrare disumano o poco realistico l’invito della Chiesa a un amore casto: oh, se tutti capissero il grande bene della castità, che non è il contrario della sessualità, ma la virtù che la regola e le permette di riuscire felicemente!
Don Roberto Carelli sdb (fonte: Roberto Carelli – Alfabeto Famigliare).



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